domenica 30 gennaio 2011

Omaggio al Magnifico Carlo Bo

Premessa    
In questo sito dedicato al Maximus Ordo Torricinorum (ma anche all'Università di Urbino) ho deciso di inserire una pagina dedicata al Magnifico Rettore Carlo Bo.
Ho conosciuto Carlo Bo, come uno dei tanti, ammesso nel suo studio in Rettorato. Non credo che il Rettore abbia prestato più della dovuta attenzione a queste visite, ma attenzione dovuta sì. Assiso sulla sua poltrona riceveva quanti volevano incontrarlo, dopo esser riusciti a varcare il blando e benevolo sbarramento dei bidelli. Ascoltava e indirizzava alla risoluzione dei problemi con poche parole. Bastava che dicesse "parlate con Cangiotti" (piuttosto che con Hemmeler o Rossi) che il problema poteva dirsi risolto. Con gli incaricati bastava dire "abbiamo parlato con Bo e..."
Certo gli incontri con la Goliardia degli anni '90 non erano più quelli degli anni d'oro quando il Rettore interveniva con viva partecipazione alle Feste della Matricola o agli altri festeggiamenti; certo i nostri incontri non sono stati così densi di significato come quelli che si raccontano (quasi leggende, ma fatti veri) di studenti bisognosi che in lui trovavano conforto, ma gli incontri con Carlo Bo lasciavano un segno. Usciti dal suo studio, sovente verso sera, quando l'aria si fa più leggera, si provava una sensazione particolare che non saprei ripetere.
Conoscere Carlo Bo significava conoscere l'Università di Urbino e conoscere l'Università di Urbino (credo) significasse conoscere Carlo Bo.
L'università come istituzione, ma anche nella sua materialità concreta, nel singolo mattone che costituiva e costituisce l'insieme degli edifici universitari voluti dal Magnifico Rettore e realizzati dall'architetto De Carlo.
Carlo Bo è stato l'ultimo duca di Urbino. Non è retorica e neanche luogo comune.
A tutti quanti l'hanno conosciuto, anche solo fugacemente, cercando di cogliere nello sguardo quanto non espresso a voce, mancherà.
Antonio Conti
Sabato 25 gennaio la Libera Università degli Studi è stata intitolata a Carlo Bo in occasione della cerimonia di apertura del 497° anno accademico.

Biografia    
Carlo Bo (25 gennaio 1911 - 21 luglio 2001), fu uno dei massimi esperti di letteratura francese.
Allievo dei gesuiti all’Istituto Arecco di Genova, si laureò a Firenze in lettere. Conobbe Giovanni Papini, Piero Bargellini, Mario Luzi, Vittorio Sereni e Ardengo Soffici e con alcuni di loro animò la rivista «Il frontespizio». Autore di importanti saggi, editorialista e collaboratore di numerosi giornali e riviste, diede un importante contributo agli studi su Giacomo Leopardi.
Bo alla fine degli anni '30 fu protagonista dell’ermetismo italiano con Elio Vittorini e Vasco Pratolini. Nel 1938 iniziò ad insegnare all’Università di Urbino. Eletto Rettore Magnifico l'8 marzo 1947 lo rimase ininterrottamente fino alla morte per 54 anni. Il 18 luglio 1984 l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo nominò Senatore a vita assieme a Norberto Bobbio per «l’alto contributo dato alla cultura italiana». Iscritto al gruppo misto, si è unito alla Democrazia Cristiana, per poi tornare indipendente nelle file del Partito Popolare.


 

Onorificenze
Goliardiche    
1953 Matricola ad honorem del Maximus Ordo Torricinorum
 Vassallo del Maximus Ordo Torricinorum

1997 Duca di Urbino honoris causa
Altre  
1960 Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana
1961 Chevalier de la Légion d’Honneur
1984 Senatore della Repubblica a vita, nominato dal Presidente Sandro Pertini

Il Magnifico Rettore Carlo Bo riceve l'insegna di Duca di Urbino h.c.
dal Duca del Maximus Ordo Torricinorum, Materasso VII
9 maggio 1997



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Intervento del Presidente del Senato sulla scomparsa del sen. Carlo Bo   
(Seduta n. 17 del 24 luglio 2001)

(Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Onorevoli senatori, consentitemi di prendere la parola per comunicare la scomparsa del nostro collega, il senatore a vita professor Carlo Bo. In seguito avremo modo di ricordarne la figura più compiutamente, così come cercheremo di ricordare quanto prima la figura di un altro nostro collega, il senatore a vita Paolo Emilio Taviani.

Oggi saranno pronunciate soltanto poche parole, che si addicono del resto al cordoglio autentico e alla figura di un uomo, il senatore Bo, il quale rifuggiva dai toni retorici e celebrativi.

Bo fu, a mio avviso, un intellettuale molto raffinato e una guida per generazioni di studiosi nonché di uomini amanti delle lettere e della riflessione sui fenomeni sociali e politici; fu critico dotato di uno sguardo acuto, che amava definirsi semplicemente un lettore.

Fu un cattolico di stampo agostiniano e amava semplicemente definirsi un aspirante cattolico. Questi erano segni certamente di modestia da parte sua; ma non di falsa modestia perché Bo sentiva sinceramente - io credo - la distanza che ogni intellettuale autentico percepisce tra le proprie competenze e la verità, e anche l'abisso che ogni credente profondo avverte fra la propria finitezza e l'immensità del suo Dio.

Mi unisco al vostro cordoglio e sono certo di interpretare i sentimenti di tutti voi. Oggi stesso, in rappresentanza del Senato, mi recherò a Sestri Levante per partecipare alle esequie funebri del nostro caro collega.

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Discorso di Carlo Bo in occasione dell'ottenimento della cittadinanza  onoraria di Urbino nel 1959    
         
Signor Sindaco, l'alto onore che Ella e il Consiglio Comunale di Urbino hanno voluto concedermi - e in una sede che sembra fatta a posta per sottolineare l'estrema modestia dei miei meriti - mi commuove e mi lascia senza possibilità di ringraziarLa degnamente, come vorrei.
Il riconoscimento mi tocca in modo particolare perché viene a consacrare una lunga, lunghissima consuetudine del cuore e nello stesso tempo mi costringe a fare un piccolo bilancio dei miei rapporti con Urbino, scrivere da una parte il grosso peso dei miei debiti e dall'altra quello esile e fragile dei miei crediti.
Basterà tenere presente queste due partite per capire che io non meritavo questa festa o, meglio ancora, che la merito soltanto a un patto, che io, cioè, la riporti nel quadro di altri rapporti, delle relazioni che passano fra Città di Urbino e Università Libera di Urbino, di cui io oggi sono indegnamente il rappresentante.
Nell'ottobre scorso si sono compiuti vent'anni da quando sono venuto per la prima volta in Urbino, accompagnato dal mio primo Preside, prof. Rebora. Venivo per iniziare il mio insegnamento come incaricato di letteratura francese della nuova Facoltà di Magistero: sono passati venti anni, sono ancora qui, non ho fatto la solita carriera universitaria legata a tappe ben precise, ma penso di aver guadagnato molto in questo cambio di rotta o, soltanto, in questo rallentamento di tempi. Quello che ho imparato a Urbino sul piano umano vale molto di più per una buona intelligenza della vita: è di per sé un premio.
Quando sono arrivato, in quella lontana domenica d'ottobre del 1938, portavo con me soltanto il piccolo bagaglio della mia cultura, era soprattutto un letterato di avanguardia che aveva costruito - un po' per ragioni di natura, un po' perché spinto dalle ragioni del tempo che allora non erano fatte per consolare - tutto il suo edificio al di fuori della realtà. La cultura era una operazione chiusa da svolgersi lontano dal contatto con gli altri uomini. Fu allora che cominciai a godere qualcosa, a guadagnare dall'Università: quella cultura si era rivelata inutile, bisognava adattarla alla misura degli studenti, a chi chiedeva una forma di dialogo più umile e più concreto. Non fu facile ritagliarmi sulla vecchia sagoma ambiziosa e segreta un'immagine più aderente, più viva ma alla fine riuscii a trovare che cosa era necessario per parlare, per farsi capire, insomma per stabilire quel contatto senza di cui la scuola muore.
Infine quando i colleghi nel 1947 mi elessero Rettore ebbi modo di allargare ancora di più il campo della visione pratica. Fino a quel momento, pur avendo fato uno sforzo per accostarmi agli studenti, le cose erano rimaste sul piano puramente culturale: ignoravo quello che è il fondo primo della vita, intravedendo soltanto, e dal di fuori, l'enorme massa di problemi diretti che angosciava l'esistenza dei nostri studenti.
Da allora ho avuto modo di fare una grande pratica di vicende, di dolori, di pene: lo studente che batte alle porte del Rettore, quando riesca a superare lo stato di timidezza e di riserbo, è molto diverso dallo studente che vediamo a lezione o agli esami. Egli porta con sé tutto il capitale di memorie, porta il segno delle sue tradizioni, della sua educazione, della sua famiglia: insomma porta il volto vero che per forza di cose viene trascurato o lasciato in ombra nelle relazioni ufficiali. In questo modo cominciai ad avere l'esatta proporzione delle cose: l'Università non poteva essere soltanto un luogo d'incontro, una sede, un centro culturale ma qualcosa di più vasto e intimo insieme. Da quel momento ho sempre considerato la nostra Università come una famiglia, come qualcosa di vivo e che non dovesse essere limitato al giuoco accademico. Naturalmente a rendere più efficace, più radicata questa impressione avevano contribuito la natura stessa della nostra Università e il grande esempio, che avevo avuto modo di seguire e di conoscere, del nostro indimenticato Rettore, il prof: Canzio Ricci.
Generalmente fra professore e Università passa un doppio rapporto: anzitutto un rapporto puramente economico, dove l'Università è il datore di lavoro e il professore l'operaio e poi quello che costituisce l'anima stessa della missione educatrice. Ebbene per i professori della nostra Università c'è un terzo rapporto, fondato su un sentimento, su qualcosa che ci lega intimamente alla difficile libertà dell'Ateneo: io penso che ognuno di noi provi appunto questa sensazione di unità, una partecipazione che non può essere soddisfatta nel quadro delle semplici funzioni e di doveri e che ci consente inoltre di non sentirci fra noi soltanto colleghi. Sono sicuro di interpretare il pensiero dei miei amici dicendo che qualcosa di profondo do 'nostro' ci lega ala vita della nostra Università.
Ma da chi abbiamo imparato tutto questo, chi ci ha insegnato a essere prima di tutto uomini, chi ci ha messo in mano non una ferula ma il segno dell'amicizia, della colleganza, dell'unità degli sforzi? Non occorre che vi ripeta un nome che oggi come tanti anni fa è ancora vivo e intatto, per me come per tutti quelli che sono passati da Urbino - e sono i più - alcuni sono fra i nomi più belli della cultura universitaria della Nazione. Il Professore Canzio Ricci, nei venti anni del suo inimitabile rettorato, ha insegnato a tutti come si possa essere veri nell'umiltà e più ricchi nella consuetudine dell'amicizia. E' , dunque, a Lui e a tutti i colleghi che ho conosciuto e imparato a stimare in così lungo spazio di tempo e che mi hanno aiutato, sostenuto e incoraggiato. Vorrei avere il tempo di illuminare il loro nome, vorrei per ognuno trovare il segno della riconoscenza, e penso in modo particolare a quelli che mi sono restati vicino e che con la loro dottrina danno lustro alla nostra famiglia: ma consentite che ricordi almeno con voi quelli che non torneranno mai più fra noi e i cui nomi sono chiusi nel cuore: Bernardi, Cusin, Scaglioni.
Sono, dunque, queste preziose qualità umane a fare dell'Università una sede unica per chi intende cercare nella scuola qualcosa di più profondamente legato alla radice della vita.
Ora io non ho ancora finito di imparare, di correggere il mio naturale distacco dalle cose, dalla realtà e questo dono che mi è stato fatto, che mi si fa ancora di umanità vale molto di più di quello che, bene o male, ho fatto e della piccola parte di dottrina che sono in grado di mettere a disposizione dei miei studenti. Perché se mi chiedo "che cosa ho fatto?2, misuro soltanto le velleità, omissioni, insomma quasi nulla. Quando devo tirare le somme di vent'anni di insegnamento e di dodici anni di rettorato, non posso che restare sgomento di fronte al mio debito. Ma passato questo tempo di incertezza e di stupore, faccio una promessa che non vale soltanto per me ma per tutti i miei Colleghi e per i funzionari dell'Università. Voglio che sia una promessa solenne, sinceramente dichiarata davanti a Lei, signor Sindaco, e alla Giunta e al Consiglio Comunale, davanti alle Autorità che hanno voluto rendere più solenne la cerimonia e infine di fronte alla cittadinanza, a questo popolo gentile di Urbino: prometto che faremo tutto il possibile non solo per difendere l'Università ma anche per potenziarla, per renderla sempre più agile, viva, attuale.
C'è un patrimonio incalcolabile che traspare dagli ori delle memorie e della tradizione, c'è un fondo di rispetto e di amore per l'uomo che proprio in questo stupendo palazzo ha avuto, molti secoli fa, la sua straordinaria consacrazione, ebbene noi aspiriamo - se non è un'ambizione troppo alta - a mantenere viva quella luce, a fare in modo che l'Università rappresenti per Urbino non una scuola particolare, dove la libertà, i diritti dell'uomo siano costantemente rispettati e nell'insegnamento e nei rapporti con i nostri studenti. E' un duro lavoro di inserimento: lasciatelo dire a chi viene da un paese forse altrettanto bello ma non toccato dalla storia, dal lavoro più alto degli uomini, lasciatevelo dire: la memoria di Urbino è troppo forte, a volte appare schiacciante, quasi certamente quello che è stato fatto qui, quella coincidenza unica di miracoli del Rinascimento non si verificherà più, ebbene non importa, imitarlo da uomini di oggi e nel segno dell'amore, della pietà e della carità per gli uomini, in un mondo che sembra aver dimenticato questi limiti indispensabili.
E dico "noi", dico "dobbiamo" perché oggi non parlo soltanto come un professore o il Rettore dell'Università ma come un cittadino di Urbino, con la speranza che un onore si traduca immediatamente in una forma di attiva collaborazione. Ed è come cittadino che voglio qui ringraziare il Sindaco e tutti gli altri cittadini di Urbino che tengono alta nel cuore l'Università e hanno imparato a sentirla viva, aperta, gelosa della sua antichissima libertà.


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"Nessun Paragone è possibile"
Intervento del Rettore Stefano Pivato alla commemorazione presso il Senato della Repubblica il 9 febbraio 2011
Leggilo qui

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Il MOT per il centenario della nascita di Carlo Bo
Manifesto affisso nella città di Urbino e nelle sedi universitarie ed ersu



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Per conoscere il Magnifico Rettore Carlo Bo a cui è intitolata la nostra Universitàascolta la meravigliosa intervista di Maria Grazia Rabiolo
per Radiotelevisione Svizzera di Lingua Italiana