lunedì 14 febbraio 2011

Storia dell'Ateneo

Una cronologia

1506

L'origine storica dell'Università di Urbino si può far risalire al 1506, anno in cui il Duca di Urbino, Guidobaldo I da Montefeltro, decretò l'istituzione di un Collegio di 13 Dottori con funzioni giurisdizionali in seconda e terza istanza, era il 26 aprile.
L'atto del Duca, confermato con una bolla da papa Giulio II nel 1507, era basato su un precedente consenso di papa Alessandro VI  per la costituzione di un Collegio Rotale in Romandiola, cioè nel Ducato di suo figlio Cesare Borgia detto il Valentino.
Un Collegio giudicante, dunque, non un’istituzione d'istruzione superiore. Tuttavia com’è accaduto spesso nella storia delle Università, anche a Urbino la costituzione di un collegio dottorale divenne il primo passo per l’istituzione di uno Studio Pubblico e poi di una vera e propria Università.

1564

Nel 1564 papa Pio IV concesse al Collegio dei dottori il diritto di laureare due poeti all’anno e di conferire lauree e gradi accademici in tutte le discipline proprie degli Studii Generali. Il valore della laurea urbinate era "ubique docendi", ovverosia universale, e quindi parificato a quella delle Università. Analoga facoltà venne concessa dallo stesso papa al collegio dei giureconsulti di Milano, ma venne finanche attribuita a taluni conti palatini, secondo un’usanza che verrà definitivamente abolita solo in epoca molto tarda.
Tra le facoltà concesse da Pio IV v’erano anche quella di legittimare i figli naturali, illegittimi ed incestuosi (cosa che non ci stupisce, trattandosi di un tribunale), ma anche quella di poteva nominare notai, creare militi, nobili e cavalieri aurati, poteri di solito attribuiti ai conti palatini (per esempio ai Montefeltro, da Ludovico il Bavaro nel 1329).

Va detto che la commistione tra il titolo dottorale, la partecipazione a un Collegio dottorale e taluni status premiali o nobiliari come la Milizia aurata o il titolo di conte palatino, non erano infrequenti (si veda il caso di Bologna per privilegio imperiale), e anche a Urbino il conferimento della laurea aveva caratteristiche di un’investitura.

Non mi sono noti gli sviluppi dell’esercizio di queste ultime facoltà del Collegio. Ciò che è certo e che i Cavalieri aurati (o dello Speron d'oro) godettero di grossi privilegi. Tuttavia per evitare il discredito derivati da un abuso di concessioni, nel 1815 papa Pio VII riservò alla sola Santa Sede il diritto di conferire il grado cavalleresco, sottraendolo ai privati, alle facoltà, ai collegi e agli enti il cui diritto di "collazione" era stato concesso nei secoli precedenti.
In ogni caso, col motu proprio del 1564 di Pio IV che concedeva al Collegio la facoltà di laureare, si avvia il primo passo vero e proprio verso la costituzione dell'Università.

1565

Per disposizione del duca di Urbino Guidobaldo II Della Rovere, il 17 agosto 1565 il Luogotenente ordinava: “(...) a tutti i singoli scolari, d’ogni città, terra, castello o altro luogo del suo Stato, di qual grado, stato, o condizione si siano non ardiscano né presumano per l'avvenire pigliar alcun grado di dottorato fuori dello Stato di S.E. Ill.ma ma debbano pigliarlo del detto Collegio sotto pena d'indignatione di S.E. e de duecento scudi (...)”.
Questo provvedimento, tipico del regime protezionistico che circondava analoghe istituzioni di altri Stati dell’epoca aveva prevalentemente la funzione di tutelate le prerogative del Collegio urbinate. In altri Stati europei le norme che restringevano la libera circolazione degli studenti, erano connesse alle guerre di religione che insanguinarono il continente in epoca Moderna. Va detto che l’ordine di Guidobaldo, reiterato nel tempo, si limitava a prescrivere lo svolgimento dell’esame finale d’innanzi al Collegio, mentre gli studenti potevano seguire i corsi e sostenere i singoli esami presso altre sedi, secondo l’uso generale dell’epoca.

1576

Il 19 ottobre 1576 il Collegio stabilì che il più giovane dottore avrebbe dovuto tenere delle pubbliche lezioni di Istituzioni di diritto. Si tratta della prima embrionale forma d’insegnamento, ancora a livello di erudizione, che seguiva una tendenza generale per la quale laddove esisteva un Collegio dottorale questo si peritava di organizzare corsi.

1600

La facoltà di concedere lauree e le lezioni di diritto furono il pretesto per la fondazione di un vero e proprio Studio Pubblico. Non ancora un’università (Studio generale), ma pur sempre un’istituzione di studi superiori, che tramite il Collegio, permetteva l’accesso agli studi e quindi il conferimento della lecentia ubique docendi.
Sul finire del 1600 il Collegio dei dottori e la comunità di Urbino chiesero ufficialmente al duca Francesco Maria II della Rovere la creazione di uno Studio Pubblico per potere dare una forma più consona alla funzione didattica che il Collegio assolveva a latere delle sue funzioni giurisdizionali.
La richiesta fu accolta con un rescritto ducale del 10 aprile 1601. Lo Studio Pubblico cominciò a funzionare con uno Statuto che rimarrà in vigore fino al 1684.

1631

I duchi di Urbino esercitavano il loro dominio come vicari apostolici in temporalibus per conto della Sede Apostolica e il Ducato di Urbino, in fondo, altro non era che un feudo della Chiesa.
Così, quando nel 1631 si spense l’ultimo duca Francesco Maria II Della Rovere, in mancanza di successori in linea maschile, la Chiesa pretese ed ottenne il diretto dominio del Ducato (è questa la cosiddetta "devoluzione") in luogo del quale sorse una nuova Legazione dello Stato della Chiesa. Rimasero in vigore tutti gli statuti vigenti in epoca ducale, comprese le norme che regolavano l’esistenza del Collegio e dello Studio pubblico.

1636

Dopo la devoluzione l’antico stato roveresco, cadde in una profonda crisi e con esso lo Studio, minacciato da provvedimenti di sprezzanti Legati pontifici. A risollevarne le sorti provvide papa Urbano VIII che nel 1636 confermò allo Studio tutti gli antichi diritti.
In quegli anni presso lo Studio s’insegnava diritto (nella sede del Collegio), filosofia e teologia (in alcuni locali nel il convento di San Francesco) e c'era anche una cattedra di matematica, ma lo Studio soffriva comunque una situazione di semi abbandono.

1647

La svolta avvenne sulla metà del XVII secolo quando venne deciso di "unificare" le realtà del Collegio e dello Studio dando loro nuovo vigore.
Fino al 1647 Studio e Collegio erano state realtà separate: il primo organizzava la didattica mentre il secondo conferiva le lauree costituendo anche apposite commissioni per l’esame, oltre a esercitare la normale funzione giurisdizionale. Ciò costituiva una particolarità, infatti usualmente i Collegi dottorali si limitavano all’esame, mentre i gradi accademici erano conferiti dall'Arcivescovo con funzioni di cancelliere dell’Ateneo.
Ma a Urbino l’arcivescovo assumerà eserciterà questa funzione solo tra il 1826 e il 1860, gli anni nei quali l'Università sarà sotto il diretto controllo pontificio.

L’unione dello Studio e del Collegio (che pure mantengono ciascuno le sue prerogative) dà luogo alla Congregazione dello Studio: una sorta di consiglio d’amministrazione composto da rappresentanti del Comune, del Collegio e dello Studio.

In quegli anni di metà Seicento lo Studio ritrova energia anche grazie all’interessamento di alcuni Legati pontifici (in testa il cardinale Cybo) che autorizzarono lo Studio a installarsi in Palazzo ducale, a godere di alcuni proventi come i dazi di alcune porte cittadine d’Urbino, le tasse di alcuni castelli dell'urbinate, dei beni di alcuni monasteri soppressi e dell'affitto del gioco della Pallacorda che si svolgeva in quella sala di Palazzo ducale.

Ma se lo studio sembrava garantito sia dal punto di vista giuridico-istituzionale che da quello economico, esso soffriva tuttavia della situazione di degrado che ormai copriva l’intero mondo universitario europeo, pressato da ingerenze ecclesiastiche più o meno dirette, non ultime derivanti dall'inquisizione e dall'indice; non a caso quelli erano gli anni nei quali  la scienza si sviluppava più liberamente nelle Accademie. Di questa situazione doveva sentire il peso soprattutto il piccolo Studio cittadino di Urbino, lontanissimo dalle "rotte" culturali dell'epoca.

Ciò nonostante lo Studio cresceva, tanto che nel 1659 poteva vantare 14 letture: due di diritto canonico, due di diritto civile, due di istituzioni di canonico e di civile, una di logica, una di fisica, una di matematica, due di teologia e una di medicina.

1671

Le potenzialità economiche ed un’organizzazione sufficiente fecero balenare l'idea di trasformare lo Studio Pubblico in uno Studio Generale, in un’Università vera e propria. o, per dirla con parole d'oggi, in Università.
Non fu cosa facile ma in effetti si trattò di convincere un pontefice, cosa che avvenne il 6 aprile 1671. In quella data papa Clemente IX elevò lo Studio urbinate a Università con gli stessi diritti dell'Università di Ferrara che a sua volta aveva ottenuto quelli dell'Università di Bologna nel 1598. L'improvvisa morte del Pontefice bloccò la spedizione della bolla papale e quindi l’iter di pubblicazione formale del provvedimento.

Il successore, Clemente X, provvide celermente al perfezionamento dell'atto del suo predecessore rendendolo pienamente efficace

Ora che non si trattava più di un semplice Studio, residuo di un antico uno staterello mediate subiecto, ma di una vera università, l’istituto attirò l’interesse dell’arcivescovo in aperto dissidio con la Congregazione dello Studio per il controllo dell'Ateneo. Il primo intendeva sottoporre l'Università alla propria autorità come avveniva in molte altre realtà e più volte la seconda dovette appellarsi al Legato apostolico per far ribadire il carattere laico dell'Università di Urbino, cosa che puntualmente avvenne.

1720

Il XVIII secolo vide l’intervento di un ulteriore Clemente, l'undicesimo, Giovan Francesco Albani, di Urbino. Gli Albani giunsero in Italia  nel 1464 in seguito della conquista turca dell’Albania.
L'Albani (tra l'altro laureatosi in diritto a Urbino nel 1668) si prodigò a favore dell'Ateneo. Concesse ulteriori privilegi, ma soprattutto predispose la prima biblioteca degna di questo nome per l’Università, nel 1720.
La floridezza economica raggiunta dall’Università nel Settecento
Tanto erano floride le casse dell'Università in questo scorcio di XVIII permise all’istituto di partecipare alle spese per il rifacimento del Duomo, crollato sotto il peso della cupola lesionata dal terremoto del 1787. A ricordo di ciò è ancora visibile, sotto il timpano della facciata del Duomo, la dicitura “Studiorum Universitati Fastigium”. Ma questa floridezza era destinata a durare poco.

1798

Sul finire del XVIII secolo e con l'inizio del XIX, l'Università di Urbino subisce i travagli di tutte le Università del Centro-Nord d’Italia. L'ondata giacobina prima (1797-99) e il regime napoleonico poi, sconquassarono e riassestarono l'ordinamento scolastico degli innumerevoli staterelli e legazioni dell'Italia centro settentrionale.

Nel 1798 il regime repubblicano soppresse l'Università e il Collegio dei Nobili.
Il patrimonio di queste due istituzioni (la seconda voluta proprio dall'Albani) venne devoluto ad un nuovo Collegio Nazionale organizzato secondo il modello di scuola predisposto dal regime francese.

1808

Caduto il regime repubblicano nella metà del 1799 l'Università fu verosimilmente ripristinata, visto che Napoleone tornò a ordinarne la soppressione nel 1808, immediatamente dopo l'annessione della Legazione d'Urbino al Regno d'Italia.
In luogo dell'Università e del Collegio dei Nobili sorse un Liceo-convitto, sempre secondo il modello di istruzione pubblica napoleonica.

1816

Passata la stagione napoleonica (che lasciò in eredità l'orto botanico), col decreto sull'organizzazione dell'Amministrazione pubblica del 1816, viene riaperta l'Università.

Ma tale provvedimento era di natura provvisoria, volto a riorganizzare lo Stato Pontificio nel primo periodo della restaurazione. Per l'Ateneo urbinate le speranze di riprendere da dove s'era lasciato furono presto fugate.

1824

La ventata di novità portata dal periodo napoleonico aveva lasciato un segno difficilmente cancellabile, anche in un ambiente repellente alle novità quale lo Stato Pontificio.

Il cardinale Consalvi ed il pontefice avevano in progetto di non assecondare le mire biecamente restauratrici del cosiddetto partito degli zelanti e non intendevano buttare al macero tutto ciò che aveva lasciato Bonaparte. Così, anche nell'istruzione pubblica, l'arretratissimo Stato Pontificio cominciò a darsi una sua organizzazione degna di uno Stato.
Il progetto di riforma organica dell'istruzione, elaborato nel 1819 prese luce nel 1824 con la Constitutio Leonina.
Solo con la pubblicazione della Constitutio, e con la constatazione che l'Università di Urbino non compariva nemmeno tra le Università secondarie (e quindi doveva intendersi soppressa), gli urbinati si resero conto che i tempi erano effettivamente mutati. Per mantenere in vita la loro Università, non potevano più limitarsi a vantare antichi e polverosi diritti e privilegi confusamente accumulati in trecento anni. Questi, diligentemente ricapitolati in un Memoriale prodotto nel 1816 e inviato alla Commissione Consalvi. Memoriale non sortirono alcun effetto. Del resto la situazione era decisamente grave: pochi professori (spesso ecclesiastici), materie affastellate a caso e studenti in subbuglio.

In quel momento di grave difficoltà sono eloquenti le parole pronunciate dal Gonfaloniere di Urbino in Consiglio comunale: “(...) perduta l’università è ad un tempo perduto miseramente ogni bene ed ogni speranza per la nostra città.”

Soldi e organizzazione! Questo era quanto pretendevano i nuovi tempi ma la comunità urbinate se ne accorgeva in ritardo. Solo l'intervento del cardinale Giuseppe Albani scongiurò la soppressione dell'Università fu sospesa e a Urbino partì un'affannosa ricerca di capitali.

1826

Caduto nel vuoto l’appello alle comunità limitrofe, l’Ateneo poté sopravvivere solo grazie allo sforzo economico della città di Urbino e dei suoi appodiati. Adeguata alle disposizioni dello stato, l’università poteva dirsi salva, ma... saldamente nelle mani della Chiesa, rappresentata dall’Arcivescovo, con il nuovo status di "Università Secondaria", al pari di tutte le altre numerose università dello Stato Pontificio. Tranne quelle primarie di Roma e Bologna.
Dalla riforma non si salvarono altre piccole università come quelle di Cesana, Fermo e Fano che chiusero definitivamente i battenti.

1831

Solo cinque anni dopo, nel 1831 gli studenti, e soprattutto i professori dell'Università di Urbino, furono tra i principali animatori della pacifica sollevazione che portò la Legazione di Urbino ad aderire, come Provincia, al Governo delle Province Unite costituitosi a Bologna.
L'Università di Urbino venne sottratta all’autorità dell'arcivescovo, fu posta alle dipendenze del Comitato Provinciale di Governo della Provincia di Pesaro e Urbino. Una Commissione nominava il Rettore.

In breve le truppe austriache chiamate dal papa posero fine a questa esperienza. La repressione seguente alla restaurazione fu particolarmente dura: dimissioni ed esilio, specialmente per i professori.
L’università venne chiusa. Agli studenti forestieri venne imposto il rientro a casa, a quelli urbinati venne permesso di continuare le lezioni privatamente presso docenti o studenti maggiori di provata fede papale.

1832

L'Università riaprì nel 1832 come "Stabilimento provinciale". In sostanza la Provincia diveniva l’ente di governo dell’Ateneo, sobbarcandosene l’onere economico. Cominciò qui lo status di università pubblica, ma non statale, proprio dell’Ateneo di Urbino fino al 2007.
I nuovi finanziamenti provinciali permisero tra l’altro l’acquisto di Palazzo Bonaventura: prima sede esclusiva dell'Università.

Palazzo Bonaventura, già dimora dei Conti di Montefeltro ancora oggi è sede del Rettorato, delle segreterie e di alcuni istituti. Costruito nel XIV secolo, fu dimora del conte Antonio da Montefeltro e, all’epoca del celebre Federico II da Montefeltro apparteneva ad un suo cugino (un altro Antonio da Montefeltro) che scoperto in odore di congiura venne privato di tutti i beni. Nel 1466 venne acquistato dai Bonaventura quindi passato in eredità ad altre famiglie venne acquistato dall'Università nel 1834. Il palazzo è giunto a noi fortemente modificato restando dell'originale solo il portale e gli stemmi sopra di esso (di Guidantonio da Montefeltro e di Nicolò da Montefeltro). Gli interventi sono stati realizzati negli anni '30 del Seicento, nel 1836, nel 1841, nel 1938 e in ultimo nel 1954 ad opera dell'architetto Giancarlo De Carlo.

1849

Nel 1849 la provincia di Pesaro e Urbino aderì alla Repubblica Romana che decretò l'espulsione del potere ecclesiastico dalle scuole pubbliche e dalle università, con la creazione di un apposito ministero. Ma in breve tempo l’ennesima restaurazione riporterà tutto come prima.

1860

L'8 settembre 1860, la sollevazione di Pergola e con l'ingresso a Urbino dei Finanzieri e dei cacciatori del Montefeltro (organizzati ed armati dagli esuli marchigiani della rivoluzione del '59), danno il pretesto alle truppe piemontesi del generale Cialdini di entrare nelle Marche per sottrarle definitivamente al potere temporale dei papi.
Anche questo avvenimento ebbe importanti riflessi sull'Università di Urbino.
Il Regno di Vittorio Emanuele II vide costantemente crescere il numero degli atenei per via dell’aggregazione dei diversi stati preunitari. Con l’unione dell’Emilia, della Romagna e delle Marche il Regno si trovò con sei nuovi atenei da gestire: Bologna, Ferrara, Urbino, Perugia, Macerata e Camerino; università molto diverse tra loro per mezzi e potenzialità. Fin da allora molti intellettuali e politici chiesero una razionalizzazione del settore e la soppressione degli atenei più piccoli.

Il mantenimento delle università marchigiane si deve alla volontà del Regio commissario straordinario Lorenzo Valerio il quale ritenne che le differenze tra gli atenei avrebbero giovato, piuttosto che nuociuto al Regno e per questo suo convincimento volle che anche le piccole università marchigiane rimanessero in vita, compresa quella di Urbino.


1862

Con il nuovo regime l'Università divenne "Libera Università Provinciale". Un apposito Regio decreto del 1862 ribadiva il nuovo status giuridico, con gli oneri e i diritti a carico della Provincia.

L'Università restava istituto distinto e autonomo rispetto all’ente Provincia, essendo dotato di una propria personalità giuridica, ma la nomina dei professori diveniva prerogativa della Provincia. Il Rettore era affiancato da un Consiglio di Reggenza.

In quegli anni l'Università di Urbino era composta dalla Facoltà di Giurisprudenza, dal primo biennio della Facoltà Fisico-matematica, dalla Scuola di Farmacia, dai Corsi di Flebotomia, di Ostetricia e di Medicina veterinaria. Gli iscritti (pochi davvero) erano divisi tra studenti veri e propri e uditori.

Negli anni che seguirono l'unità d'Italia, fino alla Prima guerra mondiale, se non fino alla riforma Gentile, ampio, aspro, e nonostante questo, inconcludente, fu il dibattito politico e culturale sullo stato delle Università in Italia.
Il nodo del problema risultava immancabilmente quello delle cosiddette università minori, e quelle libere tra queste, accusate di poca serietà e di fare concorrenza alle maggiori col ribasso delle tasse.
Ad ogni piè sospinto se ne invocava la chiusura. Carducci, Matteucci (che lanciò lo slogan: "poche università, ma buone!"), Gobetti ed altri ancora si espressero in questo senso tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, ma nonostante tutto l'Università di Urbino e le altre rimasero in vita.

Poco prima della Grande guerra le università libere (Perugia, Urbino, Camerino e Ferrara) giunsero a costituire associazioni di professori per la propria tutela e i deputati dei rispettivi collegi fecero sentire alte le loro arringhe difensive nelle aule parlamentari. Encomiabili i Rettori dell’epoca, in testa il rettore di Urbino Antonio Vanni.

Nell'ultimo decennio del XIX secolo, la crisi economica degli enti locali e le mutate leggi su alcune professioni, portarono all'eliminazione della facoltà di Fisica-matematica, del corso di Flebotomia e di quello di Medicina Veterinaria, già finanziato dal Comune.

1894

Nel 1894 entrava in vigore il nuovo Statuto che segnava il superamento di un altro ostacolo finanziario. L'amministrazione veniva affidata ad una Commissione provinciale amministrativa e il Consiglio di reggenza assumeva la denominazione di Consiglio accademico.

1923

Con la Riforma Gentile del 1923, l'Università di Urbino, superate con un ulteriore sforzo le nuove pretese governative, si apprestava a nuova vita con la denominazione di "Libera Università". La dimensione dell’istituto, per numero di professori e di studenti rimaneva pressoché costante, modesto.

1937

Nel 1937 la svolta: in quattro e quattr’otto (come solo può permettersi una dittatura) venne istituita la Facoltà di Magistero. Sull'argomento vi sono diverse leggende: da un'amante di Mussolini, alla richiesta avanzata da un gruppo di studenti in un incontro al Furlo.
In ogni caso la facoltà di Magistero portò nuova linfa vitale all'Università di Urbino: nuovi professori (e tra questi il giovane Carlo Bo) e numerosi studenti che d’un colpo passarono da poche centinaia a oltre duemila.

In quegli anni l’ateneo era perfettamente adeguato ai desiderata del Regime fascista: c’era il Gruppo Universitario Fascista, c’è la Milizia, gli studenti partecipano ai Littoriali, e i professori giuravano fedeltà al Regime.

1938

Nel 1938 in virtù delle leggi razziali dall’Ateneo vennero espulsi l’economo Angelo Coen, il bibliotecario Ettore Bemporad, i professori Renato Trevers e Isacco Sciaky; Cesare Musatti non poté assumere la cattedra assegnatagli.
La Seconda Guerra Mondiale produsse i guasti che conosciamo anche all'Università di Urbino. Non i bombardamenti (Urbino, città d'arte, fu risparmiata) ma il disastro morale di cinque anni di guerra e venti di regime fascista.

1944

Con la Liberazione l'Università torna alla libertà. A capo dell'Ateneo urbinate c'è un nuovo rettore: il professore Giuseppe Branca. Fu proprio Branca, nella prolusione per l'apertura dell'anno accademico 1944-45, a pochi mesi dalla Liberazione, ad invocare il ritorno nelle aule universitarie dei “Canti di gioia e dei canti d'amore della fervida Goliardia”.

1947

Nel marzo 1947 venne eletto per la prima volta rettore il professor Carlo Bo.

1947-1997

Nel 1997 Carlo Bo compì cinquant'anni di ininterrotto rettorato: una vita intera per Urbino e la sua Università.

Egli adempì al mandato forte dell’idea che “potenziare l'università è salvare l'università”, una visione risultata vincente per molti anni. Al compimento del cinquantesimo anno l’università contava oltre ventimila iscritti (quasi raddoppiati nel decennio passato) e con numerosi corsi e facoltà. Un patrimonio ben diverso da quello ereditato nel 1947. Un salto di qualità che appare incredibile, compiuto anche grazie alla lungimiranza della realizzazione dei Collegi tra gli anni Sessanta e Ottanta.

Nel richiamare l'opera di trasformazione voluta da Bo, non va taciuto il nome dell'architetto De Carlo. Questi, oltre a realizzare due piani regolatori di Urbino, fu l’artefice recupero e della creazione dei più importanti "spazi universitari" di Urbino a partire dalla metà degli anni cinquanta fino ad oggi.
Con Bo e De Carlo Urbino visse quarant'anni di cantieri costantemente aperti, come al tempo del grande Federico da Montefeltro.

L’architetto ha sempre ricordato il ruolo determinante del committente, Carlo Bo. Fu proprio il rettore a voler fare di Urbino un modello: un'università dove gli studenti avessero luoghi adatti alle loro esigenze di studio e di vita. Un’idea all’epoca assolutamente innovativa che tantomeno aveva trovato applicazione pratica concreta altri atenei italiani, laddove tutt’al più restavano le vecchie case dello studente ereditate dal fascismo. Il progetto di Carlo Bo era ben altro e si concretizzò nella realizzazione del primo collegio: la Vela.

Purtroppo non tutte le soluzioni adottate dall'architetto De Carlo hanno retto al rapido mutare dei tempi e non sempre appaiono prese col giusto senso delle cose. Ma a no far pienamente decollare l’idea del rettore si aggiunsero le scelte delle amministrazioni chiamate a gestire le opere di De Carlo. Fino all’ultimo (2005) l’architetto sostenne che quando gli studenti rivendicheranno gli spazi e le strutture (non pienamente utilizzate dall'ERSU), scopriranno le vere potenzialità dei Collegi universitari. Una visione forse troppo idilliaca.

L'Università di Carlo Bo ha certo salvato la città di Urbino da un potenziale declino, anche se ha contribuendo ad  impedire un sano sviluppo economico basato sull’imprenditoria ed ha certo contribuito alla profondamente trasformazione del tessuto sociale. Per far posto agli studenti gli abitanti del centro si sono via via trasferiti nei moderni quartieri alveare fuori le mura.

2001

Carlo Bo muore a Genova il 21 luglio 2001 in un periodo di trasformazione dell’Ateneo, che porta alla definizione di un nuovo Statuto. Gli succede Giovanni Bogliolo.

2006

Sotto il rettorato di Bogliolo si riaccende il dibattito sulla statalizzazione dell’università. Sul tema si veda il nostro intervento su “Lo specchio della città”. 
La decisione finale per la statalizzazione viene formalizzata con decreto ministeriale del 22 dicembre 2006, pubblicato il 22 giugno 2007. Fu una scelta quasi obbligata, visto il mutare dei tempi, che non mancò di suscitare vivaci polemiche per il rischio ventilato da taluni di una chiusura o di un accorpamento ad altri atenei marchigiani.
Nel 2006 si celebrano i 500 anni della fondazione del Collegio dei dottori e quindi dell'Università.
2009

Succede a Bogliolo il prof. Stefano Pivato, che nel 2006 aveva coordinato le celebrazioni per il cinquecentenario dell’istituzione.